Nel 1811, gli artigiani tessili inglesi presero a martellate i telai meccanici delle fabbriche dello Yorkshire. La storia li ricorda come luddisti, simbolo di una resistenza irrazionale al progresso. Ma il loro errore non fu opporsi alle macchine. Fu accettare che quelle fossero le uniche macchine possibili.
Oggi commettiamo lo stesso errore, solo in modo più sofisticato. Parliamo di "democratizzare" l'intelligenza artificiale, di rendere "inclusive" le piattaforme digitali, di garantire "accesso per tutti" alle nuove tecnologie. Ma ci stiamo ponendo la domanda sbagliata. Non dovremmo chiederci come democratizzare queste tecnologie, ma se siano democratizzabili per design.
Parte I: L'illusione della democratizzazione
Il cavallo di Troia della tecnologia gratuita
Prendiamo due esempi celebrati come successi della democratizzazione tecnologica. Zipline, l'azienda americana di droni medici, serve 49 milioni di persone in Africa consegnando sangue e medicinali. Google ARDA offre screening oculari gratuiti attraverso smartphone nei paesi in via di sviluppo.
Sembrano storie di inclusione tecnologica. Ma guardiamo meglio.
Zipline è un'azienda della Silicon Valley che vende servizi ai governi africani. I dati sui pazienti, gli algoritmi di ottimizzazione, le competenze tecniche rimangono concentrate negli Stati Uniti. L'Africa ottiene le consegne, l'America ottiene il controllo e i profitti. È colonialismo digitale con un volto umano.
Google ARDA è ancora più rivelatore. In cambio di screening "gratuiti", Google acquisisce migliaia di immagini retiniche perfettamente etichettate—esattamente i dati che servono per addestrare i suoi algoritmi proprietari. Il servizio gratuito è la moneta con cui i paesi poveri pagano per arricchire i dataset delle multinazionali.
Il capitalismo della sorveglianza in azione
Shoshana Zuboff ha coniato il termine "capitalismo della sorveglianza" per descrivere questo meccanismo: offri servizi gratuiti, estrai dati, costruisci modelli predittivi, vendi capacità di influenzare comportamenti. La "democratizzazione" diventa il cavallo di Troia per un'estrazione di valore ancora più profonda.
Facebook connette gratuitamente miliardi di persone—e monetizza ogni loro interazione. Google offre ricerche gratuite—e costruisce profili dettagliati per la pubblicità mirata. La gratuità non è generosità; è strategia di acquisizione dati.
Parte II: Tecnologie verticali vs orizzontali
La differenza fondamentale
C'è una differenza cruciale tra le macchine tessili del 1800 e le tecnologie digitali di oggi. Le prime erano "orizzontali": tutti hanno bisogno di vestiti, quindi democratizzare la produzione tessile avrebbe beneficiato l'intera società. Il problema era solo l'accesso al capitale.
Le tecnologie contemporanee sono prevalentemente "verticali": servono bisogni che esistono solo in contesti organizzativi specifici. Un algoritmo di AI per ottimizzare la supply chain di Amazon è intrinsecamente inutile per il 99% della popolazione. Non è questione di costo—è che la tecnologia stessa presuppone strutture che la maggior parte delle persone non ha.
Approfondimento teorico: la matrice orizzontale-verticale
Per comprendere appieno questa distinzione, dobbiamo introdurre un framework analitico più rigoroso. Propongo di analizzare le tecnologie lungo due assi:
Asse dell'universalità del bisogno: Quanto è universale il bisogno che la tecnologia soddisfa?
- Alta universalità: bisogni condivisi da quasi tutti (cibo, vestiti, riparo, comunicazione)
- Bassa universalità: bisogni specifici di nicchie organizzative o professionali
Asse della distribuzione del valore: Come si distribuisce il valore generato dalla tecnologia?
- Distribuzione diffusa: i benefici si spargono ampiamente nella società
- Distribuzione concentrata: i benefici si accumulano in pochi nodi
Questo ci dà quattro quadranti:
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Tecnologie orizzontali pure (alta universalità, distribuzione diffusa): La stampa di Gutenberg, l'elettricità domestica, l'acqua potabile. Queste tecnologie democratizzano genuinamente perché il bisogno è universale e i benefici si distribuiscono.
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Tecnologie orizzontali catturate (alta universalità, distribuzione concentrata): I social media, i motori di ricerca. Soddisfano bisogni universali di comunicazione e informazione, ma concentrano il valore estratto in poche corporation.
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Tecnologie verticali pure (bassa universalità, distribuzione concentrata): Algoritmi di trading ad alta frequenza, sistemi di gestione ERP. Servono bisogni specifici e concentrano valore—ma almeno sono oneste nella loro verticalità.
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Tecnologie verticali mascherate (bassa universalità, distribuzione "diffusa"): Qui sta l'inganno. Blockchain, molte applicazioni AI "democratiche". Promettono distribuzione del valore ma servono bisogni che la maggioranza non ha.
La dinamica temporale della verticalizzazione
C'è un pattern ricorrente: tecnologie che nascono orizzontali vengono progressivamente verticalizzate. Internet è l'esempio paradigmatico:
Fase 1 - Orizzontalità originaria: Protocolli aperti (TCP/IP, HTTP), bisogno universale di comunicazione, valore distribuito.
Fase 2 - Intermediazione: Emergono piattaforme che "facilitano" l'accesso (Google, Facebook), promettendo di mantenere l'orizzontalità mentre iniziano a concentrare controllo.
Fase 3 - Verticalizzazione: Le piattaforme diventano infrastrutture obbligate. Il valore si concentra, i protocolli aperti vengono marginalizzati, l'interoperabilità muore.
Fase 4 - Estrazione: La tecnologia ora serve principalmente a estrarre valore dagli utenti per concentrarlo. L'orizzontalità originaria è solo un ricordo.
Il paradosso dell'efficienza verticale
Le tecnologie verticali non sono inefficienti—anzi. La loro efficienza deriva proprio dalla specializzazione. Un sistema ERP è incredibilmente efficiente per chi gestisce supply chain complesse. Ma questa efficienza è anti-democratica per design: richiede strutture organizzative che la maggioranza non possiede né desidera.
Qui emerge un paradosso: la democratizzazione tecnologica spesso significa rinunciare all'efficienza ottimale. Una rete mesh locale è meno efficiente di una rete centralizzata, ma distribuisce controllo e competenze. La domanda diventa: efficienza per chi e per cosa?
La complessità come strategia
Questa verticalità non è accidentale. È una scelta progettuale. Le big tech sviluppano sistemi che richiedono le loro piattaforme, i loro dati, le loro infrastrutture. La complessità crea dipendenza e alza barriere all'entrata.
Ma c'è di più. La complessità serve anche a oscurare la natura verticale della tecnologia. Quando OpenAI dice che sta "democratizzando l'AI", usa la retorica dell'orizzontalità per mascherare una tecnologia fondamentalmente verticale. ChatGPT sembra orizzontale—tutti possono usarlo—ma l'infrastruttura sottostante è verticale: solo poche aziende possono permettersi di addestrare e mantenere tali modelli.
Implicazioni per la resistenza tecnologica
Comprendere la distinzione orizzontale-verticale ci permette di formulare strategie di resistenza più sofisticate:
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Identificare la falsa orizzontalità: Quando una tecnologia viene presentata come "democratica", chiedersi: serve davvero bisogni universali? Il valore generato si distribuisce?
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Proteggere l'orizzontalità esistente: Difendere protocolli aperti, standard interoperabili, tecnologie che resistono alla verticalizzazione.
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Progettare per l'orizzontalità: Creare tecnologie che per design resistano alla cattura verticale. Esempio: protocolli peer-to-peer che non possono avere intermediari centralizzati.
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Accettare trade-off: Riconoscere che l'orizzontalità può significare minore efficienza o funzionalità ridotte—e che può valerne la pena.
La distinzione non è binaria ma uno spettro, e le tecnologie possono muoversi lungo questo spettro nel tempo. La sfida è progettare tecnologie che tendano strutturalmente verso l'orizzontalità piuttosto che verso la verticalizzazione.
Prendiamo ChatGPT. Tecnicamente impressionante, ma richiede:
- Dataset di addestramento enormi che solo poche aziende possono raccogliere
- Potenza computazionale concentrata in mega data center
- Competenze specialistiche concentrate in poche università d'élite
- Catene di fornitura globali per chip specializzati
Ogni elemento rinforza la concentrazione di potere. La "democratizzazione" di ChatGPT significa al massimo poter usare l'interfaccia—mai controllare o modificare la tecnologia sottostante.
Parte III: Alternative concrete esistono già
Tecnologie che distribuiscono potere
Mentre discutiamo di come democratizzare le piattaforme esistenti, alternative reali vengono ignorate o marginalizzate:
Mastodon e il Fediverso dimostrano che i social network possono essere decentralizzati. Nessuna azienda controlla Mastodon—è un protocollo che chiunque può implementare. Ma riceve una frazione infinitesimale degli investimenti di Twitter/X.
Signal mostra che la messaggistica può prioritizzare privacy e sicurezza invece di estrazione dati. È tecnicamente superiore a WhatsApp in molti aspetti, ma Facebook può spendere miliardi in marketing mentre Signal sopravvive con donazioni.
Stable Diffusion ha democratizzato davvero l'AI generativa rilasciando modelli che girano su computer personali. La risposta delle big tech? Sviluppare modelli sempre più grandi che richiedono la loro infrastruttura cloud.
FairPhone tenta di produrre smartphone etici e riparabili. Ma deve competere con Apple e Samsung che possono permettersi economie di scala impossibili per un'azienda etica.
Il problema non è tecnologico
Questi esempi mostrano che il problema non è tecnologico—è politico ed economico. Sappiamo come costruire tecnologie democratiche. Ma il sistema attuale favorisce sistematicamente quelle estrattive.
I venture capital finanziano solo modelli di business che promettono monopoli. Le regolamentazioni, spesso scritte dalle stesse big tech, creano compliance costs che solo i giganti possono sostenere. I governi investono in "innovazione" seguendo le priorità dell'industria invece che i bisogni sociali.
Parte IV: Oltre la falsa scelta
La trappola del "prendere o lasciare"
Ci viene presentata costantemente una falsa scelta: accettare la tecnologia com'è o rimanere indietro. È la stessa falsa scelta presentata ai tessitori del 1811: accettare le fabbriche o morire di fame.
Ma esiste una terza via: sviluppare tecnologie diverse, secondo priorità diverse, per servire interessi diversi.
Cosa significa veramente democratizzare
Democratizzare la tecnologia non significa dare a tutti accesso a sistemi progettati per concentrare potere. Significa:
- Controllo locale sui dati: I dati generati da una comunità dovrebbero rimanere sotto il suo controllo
- Trasparenza algoritmica: Non solo vedere il codice, ma capire e modificare come funzionano i sistemi
- Infrastrutture distribuite: Reti mesh invece di ISP monopolisti, energie rinnovabili locali invece di grid centralizzate
- Standard aperti: Protocolli che permettono interoperabilità senza intermediari
- Sostenibilità ambientale: Tecnologie riparabili, riciclabili, a basso consumo energetico
Il ruolo dello stato e del pubblico
L'innovazione più rivoluzionaria del XX secolo—Internet—nacque da investimenti pubblici senza scopo di lucro. GPS, touchscreen, batterie al litio: tutte tecnologie sviluppate con fondi pubblici, poi privatizzate.
Cosa succederebbe se tornassimo a investire massicciamente in tecnologie pubbliche? Se l'UE, invece di solo regolamentare le big tech, sviluppasse alternative pubbliche? Se le città costruissero proprie infrastrutture digitali invece di affidarsi a Google?
Parte V: Azioni concrete per un futuro diverso
Cosa può fare il singolo
- Scegliere alternative quando esistono: Usare Signal invece di WhatsApp, Mastodon invece di Twitter, LibreOffice invece di Microsoft Office
- Sostenere economicamente progetti etici: Donare a Signal, Wikipedia, Internet Archive
- Imparare competenze tecniche basilari: Non per diventare programmatori, ma per demistificare la tecnologia
- Rifiutare la sorveglianza volontaria: Limitare i dati condivisi, usare ad blocker, evitare IoT non necessari
Cosa dovrebbero fare le comunità
- Creare infrastrutture locali: Reti mesh di quartiere, server comunitari, repair café
- Condividere conoscenze: Corsi gratuiti di alfabetizzazione digitale critica
- Sperimentare economie alternative: Monete locali digitali, piattaforme cooperative
- Fare pressione politica: Chiedere investimenti pubblici in tecnologie aperte
Cosa dovrebbero fare i governi
- Investire in R&D pubblico: Non solo ricerca di base, ma sviluppo di alternative complete
- Creare "public options" digitali: Social network pubblici, cloud storage pubblico, AI pubbliche
- Riformare il copyright e i brevetti: Favorire innovazione aperta invece di monopoli
- Tassare l'estrazione di dati: Chi profita dai dati dovrebbe pagare chi li genera
Conclusione: Il vero luddismo contemporaneo
I luddisti del 1811 non erano contro il progresso. Erano contro un progresso che li escludeva. Il loro errore fu accettare che i telai meccanici delle fabbriche fossero l'unica forma possibile di innovazione tessile.
Oggi, il vero luddismo non è opporsi a Internet o all'AI. È accettare passivamente che queste tecnologie debbano necessariamente concentrare potere e ricchezza. È credere che l'unica scelta sia tra Facebook e l'isolamento digitale, tra Google e l'ignoranza, tra Amazon e l'inefficienza.
La resistenza più radicale non è distruggere i server—è costruire alternative. Non è rifiutare la tecnologia—è rifiutare che questa sia l'unica tecnologia possibile.
Le macchine che costruiamo riflettono i valori di chi le costruisce. Se vogliamo una società più democratica, dobbiamo costruire tecnologie più democratiche. Non dal centro verso la periferia, ma dalla base verso l'alto. Non per estrarre valore, ma per crearlo e condividerlo.
Il futuro non appartiene a chi controlla le piattaforme di oggi. Appartiene a chi immagina e costruisce le tecnologie di domani. Tecnologie che servono persone e comunità, non azionisti e algoritmi.
La vera domanda non è se possiamo democratizzare le big tech. È se abbiamo il coraggio di immaginare e costruire qualcosa di meglio.

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